CONNESSONI / anish kapoor’s velvet knife

Molta arte ispira perchè è come una sorta di scommessa : cambia la nostra percezione, è come bussare alla porta, una porta aperta su visioni differenti, differenti approcci all’arte stessa, alla vita, all’identità, alle relazioni.

In questa sezione, un po’ di arte ispirante di diversi artisti, periodi e Paesi. In comune, un fattore molto potente : il pensiero differente.

Up down shadow, si chiama questo lavoro nel colore brand  di Kapoor, il rosso India. Simula un foro nel pavimento e un movimento obliquo di ‘su e giù’ che alimenterebbe tale buco .

Cera e legno, morbidezza e durezza, software e hardware direbbero Mc Luhan e Renato Barilli , tenerezza e durezza , immobillità e dinamismo.

Rosso : come il sangue, la passione , la morte, la vita. In opposizione al bianco puro , mistico, come in un lavoro noto di Tapiès, un letto rosso con un cuore e un letto bianco, l’amore passionale e l’amore coniugale, qui all’essenza filosofica del significato cromatico.

Up down shadow : tagliente, ma come una lama di velluto.

 

 

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CONNESSIONI /mai più, dice tracey emin

Molta arte ispira perchè è come una sorta di scommessa : cambia la nostra percezione, è come bussare alla porta, una porta aperta su visioni differenti, differenti approcci all’arte stessa, alla vita, all’identità, alle relazioni.

In questa sezione, un po’ di arte ispirante di diversi artisti, periodi e Paesi. In comune, un fattore molto potente : il pensiero differente.

A volte l’arte visiva è un gioco di media mischiati, connessi tra loro. Un gioco, tout court.

Qui, abbiamo davanti a noi una sorta di diario segreto, così veloce e facile quanto può esserlo una nota in un post-it appiccicato al tavolo o al forno di casa : ‘ricordati di non rifarlo ancora !’.

E’ un mondo di visioni interiori che salgono in superficie, come diceva il poeta, Hugo von Hoffmansthal: la profondità si nasconde. Dove? In superficie. Nulla di ciò che ha valore può giacere troppo a lungo nell’inconscio, pena una nevrosi esistenziale. Per evitarla, Emin scrive, scrive, scrive le note del suo cuore, come una teen-ager terrible dell’arte, con la bellezza e l’ironia dell’artista saggia perchè ispirata. Un rock-and-roll diary series con un tocco di concettualismo al neon

Pensieri illuminati : è un ‘do not forget’, non dimenticare, per collezionisti di storie d’amore infrante , quantomeno frangibili, oltre che collezionisti di opere d’arte.

D’altra parte, collezionare è immortalare e a volte riempire vuoti . Il collezionista di Emin parte dal cuore, dall’intimità.

Chi trova corrispondenza in Tracey, ha bisogno di un inner circle estetico e vitale, quel circolo degli intimi che somiglia tanto all’allegra brigata di Boccaccio.

E nessuno come Emin sa parlare questo linguaggio, da ex enfante prodige divenuta saggia con l’arte, ma sempre rock&roll.

RG

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CONNESSIONI/l'imperfezione è perfezione

Molta arte ispira perchè è come una sorta di scommessa : cambia la nostra percezione, è come bussare alla porta, una porta aperta su visioni differenti, differenti approcci all’arte stessa, alla vita, all’identità, alle relazioni.

In questa sezione, un po’ di arte ispirante di diversi artisti, periodi e Paesi. In comune, un fattore molto potente : il pensiero differente.

Moltissima arte, dal XX secolo , si esprime attraverso il linguaggio verbale, sceglie le parole.

Dai ‘calligrammes’ di apollinairiana memoria all’arte concettuale, è un click facilissimo, un pulsante gettonatissimo e di grande attrattiva .

Forse perchè  l’uomo dell’ era postmoderna è , come dice una nota band, ‘dazed and confused’, stordito e confuso, ma ha altrettanto bisogno di esprimere se stesso, magari in aforismi interrogatori e ambigui, magari in aforismi assertivi per vincere queste paure di caos, di incompiutezza, di slittamento identitario.

Non perfezione, no : ma sentimenti, sensazioni , quel ‘sentire ‘ del brano Tommy degli Who, concept album che per primo invitava a ‘sentire, ascoltare, toccare, guardare’. Sentire, principalmente, con qualunque mezzo .

Per favore, sentimi, in tutta la mia imperfezione umana, in tutte le mie emozioni e i miei umori.

Umano, troppo umano, ma meglio che anestetizzato da clichè, silenzi e imposizioni.

Se si seguono gli artisti nelle loro domande e desideri, posso aiutarci e allo stesso tempo dare bellezza e intensità .

Una bellezza imperfetta, attuale, che si incastri con le nostre amate e coltivate contraddizioni.

RG

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SOTTO IL SEGNO DI SATURNO . il tempo dell’/nell’ ARTE

L’indimenticabile testo ‘Saturno e la Melanconia’ di Erwin Panofsky è alla base della scelta del nome The Art Time , in cui il Tempo prevale certamente sulla Malinconia, ma è anche ad essa strettamente legato.

Sono due valori connessi. Il Tempo scorre, lascia tracce, l’Arte scalfisce e lenisce con le sue domande e le sue offerte, la Malinconia è connaturata all’uomo, che forse crea e colleziona per lo stesso motivo : fuggire quell’umor nero,  quel sottile ‘piacere di esser triste’ connaturato alla natura precaria e mortale dell’essere umano .

Tempo e Malinconia erano in questo testo indagate riguardo l’uomo rinascimentale, centrato su di sé , ma anche piccolo di fronte all’eterno universo; questo sentimento è, ancora oggi, più vivo che mai .

Saturno muta e scorre e il senso di piccolezza è infinito. In ogni settore della conoscenza, medicina, psichiatria, storia, filosofia, religione, teologia, alchimia , arte, letteratura, gli studi su tempo e malinconia si sono intensificati, dall’uscita di questo testo, proprio perché sollevano questioni che sono fondamentali per l’uomo postmoderno.

Già nella modernità, il senso  dell’ineffabilità e dell’annullamento di alcune categorie identitarie era indagato ed espresso.

E’ un filo rosso, il Tempo, che attraversa l’arte e la trattiene.

Malinconia in Arte  non è tanto ansietà, tristezza o stanchezza; malinconia indica soprattutto, all’interno della suddivisione dei quattro umori aristotelici, uno stato d’animo temporaneo, dolcemente pensoso, ineffabile e nostalgico . E’ come il Nostos di Ulisse, che consisteva nel desiderare il ritorno a casa e nell’incessante desiderio di ripartire. E’ la malinconia della sera o dell’autunno  o,  come diceva Shakespeare,  la ‘Malinconia di Moor-ditch’.

Il tempo è qualcosa che fugge, la nostalgia è il desiderio eterno, al di là dello spazio e del tempo, di imprimere un carattere di eterno ritorno a  esperienze, momenti ,  domande,  idee;  un ritorno possibile attraverso le forme dell’Arte.

Melancholia I di Albrecht Durer è quel capolavoro di simboli misteriosi, matematica mischiata all’arte sublime rinascimentale, che svela questo tratto dell’artista: capo tra le mani, sguardo pensoso verso i misteri del mondo organico e inorganico, i misteri della vita, tout court .

Il tempo dell’Arte è quel tempo che permane, nonostante di base lui fugga . E’ il  motivo per cui l’artista crea e il collezionista trattiene le idee eterne che chi crea gli consegna .

The Art Time è ispirato al  tempo, che da Panofsky ha segnato il senso del ‘fare’  artistico. 

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L’AURA DELL’ARTISTA nell’arte contemporanea secondo Dal Lago

Spesso ci si chiede : questa è arte ? Non esiste Arte senza AuraCONSULENTE D’ARTE ITALIA  

L’aura è il charisma dell’artista , depositario di un’ idea, prima che di una technè , definizione greca dell’arte ancora valida ma non sufficiente.

Tecnica, ma soprattutto  Idea. In ‘Teoria dell’arte’, Josè Jimenez spiega bene come l’Idea , la Noesis, il processo mentale sia alla base della maggior parte dell’arte novecentesca, sia la vera rivoluzione , più ancora dell’abolizione della prospettiva e della creazione dell’Astrattismo .

Scrive Andy Warhol (guru del Pop e emblema del rischio, secondo Arthur Danto, della fine dell’arte, con la sua ‘Brillo Box’, scatolone da supermercato,  esposta in un Museo,) , in La filosofia di Andy Warhol:

“Alcune aziende erano interessate all’acquisto della mia Aura. Non volevano i miei prodotti, continuavano a dirmi : Vogliamo la tua Aura. …Non sono mai riuscito a capire che cosa volessero, ma sarebbero stati disposti a pagare un mucchio di dollari per averla. Ho pensato allora che se qualcuno era disposto a pagarla tanto, avrei dovuto provare ad immaginare CHE COSA FOSSE”.

No, l’Arte non è morta con la Brillo box” esposta e l’Aura nemmeno, Danto ha ritrattato anni dopo, affermando che si trasforma, come un mutante, ma non muore. Warhol stesso ne parla, di questo mistero dell’Aura d’artista. Dissacrante, ironico e iconico.

Iconico, aggettivo chiave. L’Aura, questa ineffabile essenza d’artista, à la Man Ray o à la Piero Manzoni (quello era il fiato d’artista,  ma sempre di respiro carismatico si tratta ), è sicuramente iconica. Fissa l’immagine carismatica della creatività artistica in un’idea. La Fontana di Marcel Duchamp, i baffi della sua Gioconda, Il Ferro da stiro con i chiodi ( oggetto minacciosamente erotico quanto quotidianamente inutile e pericoloso) di Man Ray, per fare solo alcuni esempi famosi.

Ma a voler bene guardare, il chiodo piantato nel bel mezzo della tela di George Braque  ‘Brocca e Violino’ del 1909-10 era già , oltre che un oggetto vero e proprio parte di una tela bidimensionale (preludio agli oggetti cubisti successivi e soprattutto al salto dalla tela alla realtà tridimensionale di moltissima arte novecentesca e contemporanea), un ‘IDEA, con la sua aura iconica indiscutibile.

Gli esempi potrebbero essere infiniti , fino agli attuali Damien Hirst con le sue provocazioni iconiche fin dagli esordi ,  Jeff Koons con i suoi ‘Puppies’ e via dicendo.

Alessandro dal Lago scrive, nel suo testo illuminante Mercanti  d‘Aura, che l’aura è viva e vende bene.CONSULENTE D’ARTE ITALIA

 

I musei l’acquistano, i collezionisti la desiderano, il pubblico ne resta a volte sgomento, a volte attratto. Vende.

Per noi macchine desideranti, è l’oggetto del desiderio, un possesso materiale che nasconde e svela un possesso immateriale mille volte più potente, perché iconico, quasi divino nel suo pagano trasgredire la tradizione, l’idea di bello e di tutto ciò che era regola  ( technè).

Walter Benjamin ha aperto il varco sul tema della possibilità dell’Aura di sopravvivere all’era della  riproduzione tecnica artistica.

L’alone di unicità che avvolgeva l’opera classica o comunque tradizionale non trovava più corrispondenza nell’arte contemporanea, in cui l’Aura definisce l’attitudine di un’opera d’arte a produrre un dato effetto sul pubblico in termini simili a ciò che appunto in filosofia o sociologia ( si veda Max Weber) viene definito CARISMA .

Movimenti come Dada, Futurismo , Cubismo stavano intaccando ogni pretesa di ieraticità dell’arte, con gli oggetti incastrati sulle tele, poesie come ‘INSALATE DI PAROLE’, de-sacralizzazione dell’immagine e via dicendo .

Si possono affermare tre grandi temi secondo Del Lago sulla perdita dell’aura temuta nel XX secolo 

-l’arte si de-sacralizza, anche per via di un pubblico sempre più vasto a partire dal XIX secolo ;

-questa sorta di de-sacralizzazione è potenziata dalla riproduzione meccanica delle immagini ;

-le Avanguardie, infine, determinano quasi il funerale dell’aura, con le loro ricerche di materiali  e linguaggi che vengono dalla quotidianità. E’ l’esatto opposto di ciò che aveva fatto l’Arte fino a quel momento:  sacralizzare,  creare altari atemporali e non tollerare il transeunte.

In quel momento, con Salons e Musei, il pubblico si divide fra quello privato che colleziona e quello dell’arte pubblica e monumentale.

L’Aura non muore, così come non muore l’Arte ; non scompare ma cambia, si trasforma, evolve

 

L’Aura di un’opera è l’effetto che produce, effetto che muta con il tipo di opera e la tipologia di pubblico .

Aura e Simulacro sono due termini avvicinabili,  nell’arte contemporanea.

Il Simulacro deriva dal latino simulare e significa statua . In realtà, il Simulacro va ben oltre questo.

E’ un ente che  va oltre un ‘Idea.

L’Arte, con la sua aura carismatica, classica o contemporanea che sia, ha sempre realizzato simulacri . Monna Lisa, ad esempio, la celeberrima Gioconda, non è né la vera dama di Firenze né la sua idea, anche se è entrambe le cose. Va però oltre : oltre la realtà e oltre l’idea, unita a noi attraverso quella carismatica particella detta Aura.

Si deve aggiungere un fatto tipico dell’arte oggi : la sua tendenza, come tutto in economia, a diventare BRAND . Un simulacro ‘brandizzato’, sponsorizzato, promosso sapientemente,  ma non per questo meno potente.  Oggi  è il marchio stesso che vuole essere Arte, analizza acutamente Dal Lago.

Foucault, per chiudere questo veloce  excursus sul carisma dell’idea nell’arte specie contemporanea, di cui The Art Time si occupa, ha  ben compreso cosa sia questo Simulacro .

Per lui era la Pop Art  l’Arte emblematica del nostro tempo, non a caso come scrisse anche Arthur Danto  .

Dopo l’Idea nelle Avanguardie storiche, la Pop Art è ciò che di più potente ha rappresentato l’arte di questo tempo, un’arte capace di rendere al meglio il ruolo delle immagini nel nostro immaginario .

Il mondo è visto come una gigantesca raccolta di Simulacri. Sono tutti uguali , perché oggetti di uno scambio universale, e tutti diversi, perché come la vita variano di continuo, una sorta di superfetazione da supermercato dell’arte.

Siamo, oggi più che mai (più ancora che al tempo di Warhol, nel  nostro tempo potenziato con Instagram , Pinterest e social vari) condannati alle immagini, a vivere di esse. Certo ci   resta,  per ora,   la possibilità di scegliere fra loro.

L’Aura sopravvive perché l’Arte diviene sì nel tempo, sempre più mutante, ma in quanto Arte,  permane.

Come il carisma è immateriale, ciò che resta è l’idea, i valori che ci trasmette, non l’oggetto in sé.

L’Arte per questo crea civiltà , sempre.

 

CONSULENTE D’ARTE ITALIA

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(Post)Basel Suggestions

Si è conclusa l’edizione 2018 della fiera di Basilea; arte, stile,  mercato miscelati assieme ai massimi livelli di affluenza, attenzione e tendenza.

Quattro giorni di artisticità, creatività, immaginazione, vip collectors e mondanità. Arte versione DeLuxe.

Alcuni momenti artistici clou sono stati:

  • Binomio  Lee-Perrotin:  l’esposizione del francese Bernard Frize nello spazio di  gemellaggio Simon LEE + Galerie Perrotin; uno spazio attiguo e suggestivo collocato su due piani diversi ha ospitato i colori ariosi e astratti del suggestivo pittore
  • Storia dell’arte al climax: omaggio a Robert Indiana ( e ai suoi iconici LOVE Pop ) e doppio omaggio a Sebastian Matta e Marcel Duchamp per la galleria svizzera , con sede anche a New York, Gmurszynska
  • XX secolo in primo piano : un omaggio allo sviluppo delle tendenze che hanno segnato il Novecento ( Mirò, Picasso, Calder fra gli altri ) voluto dalla galleria londinese Helly Nahmad
  • Picasso superstar : in concomitanza con la mostra-blockbuster alla Tate Modern dedicata all’iconico artista, anche Basilea celebra Picasso e le sue donne con la Fondation Beyeler; un bronzo dell’amante Dora Maar, tre masterpieces e altri volti sfaccettati incoronano il periodo anni Trenta, quello che lo ha visto letteralemente trionfare con dipinti femminili ormai leggendari;
  • Ruinart e Liu Bolin : l’artista cinese, conosciuto come The Invisible Man, è stato l’artista partner della casa di champagne  per l’edizione Basel 2018
  • NetJets e la street art : dopo 17 anni di partnership fra NetJets e Art Basel, la compagnia aerea collabora con Oli-B, artista di strada, pittore e illustratore  di Brussels; al NetJets vip lounge dell’Art Basel collectors lounge, Oli-B ha posizionato un’installazione innovativa su svariate superfici ( tela, carta, legno e muro) con molteplici tecniche, fra cui spray, colori acrilici e tecniche di stampa digitale

Alcune osservazioni in merito al mercato :

  • Numerosissimo l ‘afflusso di collezionisti europei, cinesi e koreani;
  • Gli acquirenti provenivano da cento diversi paesi e quattrocento musei e quasi centomila visitatori in termini di pubblico ; 239 erano le gallerie e 4000 gli artisti presenti
  • Le vendite sono andate bene nonostante si provenisse da due settimane fibrillanti alle aste newyorkesi ; Michael Findley , direttore della famosa galleria Aquavella di NY, ha dichiarato ad ArtEconomy24 che “I compratori confrontano i prezzi e vogliono negoziare, sono informati, non sono interessati ad arrivare per primi, ma ad acquistare opere da conservare nel tempo”.
  • Fra gli artisti storicizzati, i record di vendite spettano all’americana Joan Mitchell (Levy Gorvy di New York ha venduto un Untitled del 1959-olio su tela- per 14milioni di dollari ; Hauser & Wirth una tela del 1959 per la stessa cifra ; Zwirner un pezzo del 1959 a 7.5 milioni di dollari ). In vista di due importanti mostre istituzionali in Usa nel 2019, i prezzi della Mitchell son destinati a salire. Anche Louise Bourgeois da Hauser&Wirth è stata una delle artiste che ha raggiunto un valore alto : Le Tre Grazie del 1947 ha toccato i 4.75 milioni di dollari. Andy Warhol da Pace con un ritratto della  Garland è stato venduto a un prezzo non svelato.
  • Brillanti e ‘sociali’ i giovani artisti alla sezione dei  contemporanei: da Esther Schipper di Berlino si stagliava un grande lavoro di Anri Sala realizzato insieme a bambini rifugiati, ad ognuno dei quali l’artista ha chiesto di addentare una mela e osservare le tracce del morso. Una riflessione sulla propria identità, ma anche sul processo di schedatura dei rifugiati. Le fotografie dei frutti, ritoccate a pennello, sono state appese ad altezze diverse a riprodurre le note sullo spartito dell’inno nazionale tedesco (il prezzo non è pervenuto).
  • Si è fatto notare il giovanissimo francese Jean Marie Appriou ( da Eva Presenhuber), che parte da basi fiction per creare sculture figurative ( teste) in materiali tradizionali.
  • Si è fatto notare inoltre un magnifico  Kounellis : con un “untitled” del 1966, una rosa nera di grandi dimensioni (prezzo di vendita 5,5 milioni di dollari). Provenienza ignota. (*)

Art Basel non è una fiera, è un simbolo – evento centrale nel sistema dell’arte , così iconico da sovrastare persino il suo stesso contenuto. E’ brand, moda, sistema, cultura e ,  naturalmente,  business.

(*) Il sole 24 ore , 24 giugno 2018, per le quotazioni delle opere; S.A.Barillà.

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CONSULENTE D'ARTE : mercato dell’arte e sharing economy ?

PUO’ IL MERCATO PROSPERARE NELLA SHARING ECONOMY?

Per un consulente d’arte, un aspetto estremamente interessante è capire il mercato e districarsi fra i cambiamenti e le tendenze. 

Fra gli articoli più interessanti letti sul mercato dell’arte, spicca quello in The art Newspaper di giugno . Qui Melanie Gerlis affronta il tema dell’economia globale in relazione alla chance dell’arte di prosperare e vendere . Perché l’arte, per poter continuare a creare idee , deve vendere. Ça va sans dire.

Il primo punto fermo della sua analisi è che i millenials non sembrano mostrare lo stesso gene della generazione precedente in tema di collezionismo.

Nessuno vuole più possedere nulla. Si tratta di fare esperienza delle cose, condividerle e essere-nel-momento. Dalla rivoluzione digitale, gli algoritmi prevalgono sul mondo fisico” . 

POSSEDERE O FARE ESPERIENZA

L’affermazione non è senza peso.

Secondo un certo punto di vista, questa è una cosa magnifica che ha contribuito a far fiorire il crowdsourcing  e il riutilizzo di materiale per produrre nuovi oggetti, ad esempio. Secondo un altro, non è una buona notizia : il mercato dell’arte si affida al culto del possesso. Un collezionista che non vuole possedere non è un collezionista .

Questo passaggio dalla proprietà a una sorta di economia condivisa, in cui ad esempio funzionano compagnie come Uber e Airbnb, è all’ordine del giorno dei temi importanti per i leader del mercato.

Un consulente d’arte si chiede : l’arte del futuro sarà più un oggetto di esperienza? Si venderanno esperienze ? 

Mark Spiegler, direttore generale di Art Basel, la  fiera più importante e trendy al mondo, dice che non si dovrebbe sopravvalutare questa tendenza dei tempi che arriva anche nel mercato dell’arte , ma va sicuramente tenuta in considerazione .

Ci sono alcuni effetti positivi per l’arte in tutto questo: se da un lato la ‘feticizzazione‘ dell’unico potrebbe essere in diminuzione, i lavori in molteplici edizioni,  quali fotografia, stampe e ceramiche, sono sempre più popolari e aiutano ad espandere l’appetibilità del mercato artistico.

Alcuni Musei, inoltre, invitano i visitatori a condividere su Instagram i lavori esposti, che ancora una volta è segno di democratizzazione dell’audience potenziale per l’Arte.

Condividere e supportare diviene più interessante dell’acquisire o dell’investimento finalizzato alla speculazione, come afferma Alain Servais, membro di FRIENDS OF LISTE,  un brillante programma che ha ridotto le spese per le mostre di dieci delle gallerie della Liste art fair di quest’anno.

Gli intermediari d’arte, fra i quali anche i consulenti d’arte,  stanno sperimentando modi di monetizzare le esperienze (c’è gente che paga fino a 50 $ al giorno per l’esperienza di vedere i dealers vendere arte a Basilea durante Art Basel ).

CONCLUSIONI

 

Il punto in forse è cercare di quantificare quanto esattamente questo cambiamento macro economico cambierà il mercato dell’arte. E’ una nicchia di mercato e le basta una manciata di compratori buoni per tener su le apparenze. 

Ancora, quindi, spiega Spiegler,” le gallerie e gli artisti che possono fare del comprare e possedere arte un ‘esperienza, hanno un futuro naturale garantito” 

Questa tendenza quasi immateriale è molto interessante per un consulente d’arte che sia attento ai movimenti spesso sotterranei e impalpabili dei trends artistici. 

La frase di Jimi Hendrix “have you been experienced?” appartiene più che mai all’attuale nicchia dell’universo economico-artistico. *

*in Fair Dailies, www.theartnewspaper.com

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Louis Vuitton e Jeff Koons

Jeff Koons disegna nel 2017 la seconda collezione di borse firmate Louis Vuitton .

L’intersezione fra due mondi sempre più vicini è per la seconda volta dimostrata dalla linea Masters, in cui Koons, tra gli artisti contemporanei più influenti nel mondo dell’arte, sottolinea il legame personale con ciascuno degli artisti omaggiati.

Ha affermato ‘quando qualcuno passeggia per strada o siede in un cafè indossando una di queste borse, sta davvero comunicando l’amore verso l’umanità’ .

Al di là delle affermazioni personali dell’artista dei ‘Puppies’, una collezione di questo tipo sottolinea la tendenza mondiale alla brandizzazione dell’arte e in generale di ogni prodotto di lusso.

Una borsa è un oggetto d’uso che ha un valore aggiunto , quando si tratta di un’icona come Louis Vuitton : prestigio, durata, lusso, eleganza, stile sono tutti simboli che, come direbbe Cassirer a proposito del fatto che siamo animali simbolici,  accompagnano il compratore nella scelta di un prodotto eloquente e riconoscibile come questo.

Da  Boucher a Gauguin, da Manet a Monet, da Poussin a Turner : artisti mito presenti nell’immaginario collettivo arrampicati su borse altrettanto presenti in un immaginario planetario di fashion victims.

Aggiungere omaggi all’arte aggiunge eternità e valori simbolici ad un oggetto che, per quanto durevole e prestigioso, non ha certo a che fare con l’eternità  o l’immortalità di un capolavoro pittorico.

Contro la moda mortifera che cede il passo al tempo, si scelgono opere d’arte che si fanno Pop ma che si intrecciano al design di moda come  in una sorta di yin e yang.

Brand everywhere, è la parola d’ordine. Con il timbro autoritativo ma anche leggiadro delle ninfee di Monet.

 

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LADY BEECROFT, BRAND E CORPO SACRO , CONNESSIONI

Il corpo: sempre più sede e depositario di un marchio identitario, sostituito al volto come fisiognomica rivelatrice del tratto di personalità, come terreno di indagine di ciò che da familiare diviene inquietante, perturbante ( uncanny), per dirla à la Freud .

Il volto, dal Rinascimento, era sede dello studio dell’anima, basti pensare a quel meraviglioso capolavoro che è il ‘Doppio Ritratto’ attribuito a Giorgione , esposto a Roma in Palazzo Venezia. Datato fra 1500 e 1510,  è un unicum fino a Caravaggio; così, nel ’79, Ballarin definiva quest’opera incredibilmente suggestiva, un ritratto involontario, si può dire, non idealizzato, inteso come medium che rivela l’anima nella sua essenza, che sviscera i significati più profondi dell’esistenza contrapponendosi all’accademica ritrattistica ufficiale.

Il corpo diviene regno di Identità, dopo Freud, diviene sede di pulsioni, di emozioni, di slittamento di senso, dal suo interno alla carne, alla pelle.

Vanessa Beecroft gioca col corpo femminile, rifacendosi al Rinascimento, mediante  meravigliose vestali immerse in tuniche bianche, che le rendono come elementi organici della natura, quasi diafane e trasparenti, in cui il corpo seminascosto e al contempo rivelato dai panneggi minimali raggiunge una dimensione corale unica, senza coreuta, l’eterno femminino che dal classicismo arriva al post-moderno, con volti diafani o nascosti. Un misticismo sensuale, in performances che sono danze emozionali in cui l’Io è allo specchio, uno specchio senza tempo, senza doppi, senza enigmi, nella sua essenza materiale che ha il soffio dell’eternità.

Gioca anche giochi più trasgressivi, Beecroft: è l’artista dei corpi le cui opere sfuggono a una qualsiasi definizione classica. Performances in cui le immagini viventi, realizzate con ragazzi seminude, spesso immobili, sono simbolo della nostra contemporaneità, una rappresentazione dei costumi del nuovo millennio  raccontata attraverso corpi svestiti di modelle professioniste, immortalate e fermate attraverso scatti fotografici e video .

Il corpo è assolutamente il protagonista.

C’è un corpo sacro.  La bellezza femminile  è indagata nelle sue molteplici sfaccettature, nella sua fisicità, nel rapporto con l’Arte del passato. Il corpo è arte, l’ Aura di queste performances sta nell’essere dimensioni eterne del femminino, pur nella dimensione temporale ‘di passaggio’ che le caratterizza per forza di cosa, per la natura stessa di una performance.

Il corpo e la bellezza della Beecroft si riferiscono alla pittura di Botticelli e di  Lippi, si intrecciano con motivi autobiografici ( e questo è sempre vero in un genere come la Performance) e con suggestioni derivanti dallo spazio circostante, con rigorosa attenzione all’impianto scenografico e figurativo, che rende la performance più vicina alla pittura che all’azione vera e propria .

Scultura e performance si attuano in questo altare sacro dell’apparire, in questa dimensione corale di memoria greca ( e dunque , catartica) e vengono ulteriormente stigmatizzati con la ripresa fotografica e video, espedienti mediatici che completano l’ “eternità” connessa alla sua ricerca, principalmente rivolta al corpo femminile e alla condizione femminile, il cui medium è appunto ‘the body’.

Con il corpo, attraversa alcuni degli aspetti più controversi e intriganti della realtà sociale e culturale di oggi, tra cui il rapporto tra cibo e sessualità e l’ossessione per la bellezza e la forma fisica, fino alle conseguenze più tragiche dell’anoressia.

Con la Body Art il corpo, considerato quasi sorgente inesauribile di ogni atto di vita, tenta di riappropriarsi di quanto gli è stato sottratto nell’anonimia e nell’artificialità dell’universo contemporaneo.

Il luogo in cui opera la Beecroft si trova nel precario punto di intersezione fra il corpo stesso, giocato in prima persona, e la registrazione meccanica, fra la diretta attività fisica e l’immagine tecnologica ( foto, film, videotape) .

Emblematica della ricerca estetica di Vanessa, la Maternità  in tre momenti, in cui il bianco e il nero della pelle si intrecciano con il rosso e il nero delle vesti, in cui il tema dell’uguaglianza si intreccia con il tema del valore estetico dell’arte ( la scelta dei colori nelle vesti ad esempio ), in cui tre maternità diverse sono acccomunate da una duplice maternità, da un doppio figlio, rispetto alle maternità sacre tradizionali, che sono sconvolte sia nei colori del bambino sia nel numero.

La maternità sacra è il topos visivo più inflazionato e famoso della storia dell’arte Occidentale dal cristianesimo in poi; in Vanessa Beecroft rivive un nuovo Rinascimento, inteso come valore estetico divergente ma anche valore intrinseco divergente, in cui diversità e alterità si sostituiscono alla tradizione e alla regola. Sono Madonne attraversate dall’ago e dal filo di Louise Bourgeois, senza una connessione a Freud così lampante, ma certamente un ago e un filo che cuciono una nuova veste femminile, quella della libertà, pur nel rispetto di  un’estetica che però è un ‘estetica capace di divergere, di differire.

C’è, poi, un corpo-brand. Un corpo marchio. O marchiato , si può affermare. Un doppio intreccio di corpi, doppi anche nel colore ( di nuovo, pelle bianca e pelle nera ): bianchi e neri acccostati come spunto di riflessione e nell’ironica disposizione spaziale che fa indubbio riferimento al marchio di Louis Vuitton . I corpi nudi bianchi formano la L e i corpi nudi neri formano la V.

La riflessione della Beecroft in questa immagine è sull’identità del corpo nella società occidentale dominata dal Marchio, dal sistema della Moda, sulla possibilità dell’identità singola ( resa individuale al massimo attraverso la scelta della nudità, primitiva e arcaica, in netto contrasto con la contemporaneità e l’artificio del brand ) di sopravvivere, se perfino corpi nudi si incastrano in modo da inneggiare a una finta coreografia di danza che è in realtà un tributo a una griffe famosa, resa ancestrale . Nudità e brand si incastrano in un rimando senza inizio e senza fine, senza causa né effetto : il brand è umanizzato dal corpo in flesh&bones, come fosse così attuale da essere davvero vivente, e la nudità è azzerata, marmorizzata dall’essere impostata come un brand. Somma zero : niente prevale. L’intreccio è ineluttabile,  l’arte diventa brand, il brand diventa arte, il corpo diventa arte e brand al contempo.

Le singole identità fanno sì parte di un ingranaggio che fagocita e schiaccia, che tende ad appiattire e a svuotare per lasciare spazio a significati artificiali e commerciali legati al Sé ; ma è anche vero che il brand diventa organico e viene smitizzato in questa connessione con la carne nuda, una sorta di ‘pasto nudo’ alla William Burrough . Non si sa se la Moda divori il corpo o il corpo si unisca ad essa senza perdersi.

Apre domande, Beecroft, e dona sicuramente risposte estetiche, in cui il ‘sentire’ è appunto primario, indispensabile, riossigenante.

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Gucci versus Bosch e Millais: è il tempo di un' HALLUCINATION

Moda e Arte a braccetto. La Moda ha sempre stretto l’occhio all’arte nell’ispirazione; basti pensare a quanti tributi alle Avanguardie, come il Cubismo Orfico o la Pop Art, abbia realizzato negli anni Novanta Gianni Versace o a certe pubblicità di Chanel guidata da  Karl Lagerfeld, in tributo a Bisanzio e ai mosaici ravennati, appena  pochi anni fa .

Gucci Hallucination . La campagna 2018 Primavera estate della Maison fiorentina guidata da Alessandro Michele è tutta un tripudio di ninfe e personaggi dell’arte , sotto l’egida artistica di Ignasi Monreal.

In  abito aureo, fra ninfee e acque stagnanti, una novella Ophelia omaggia quella celeberrima di John Everett Millais, del 1852.  Un quadro che è stato citato in video musicali nel corso del tempo (da Robert Plant a Nick Cave, per fare solo due nomi notissimi), esprime la femminilità, virginale ma maliziosa, preraffaelita ed esalta il binomio Amore e Morte, che è forse il topos letterario più dipinto in quel periodo e che si presta alla teatralità di una collezione di moda così legata allo stile più che a tendenze passeggere di mercato.

Aura d’artista, aura di fashion designer.

Se tutto diventa brand, arte compresa, il connubio fra brands li esalta a vicenda ma è anche un modo per celebrare icone dell’arte nell’immaginario di un pubblico vastissimo .

Hyeronymus Bosch , con il suo Trittico del giardino delle delizie , 1490-1500, ha ispirato un artwork che  porta dritti in una dimensione, come dice il titolo della campagna stessa, allucinata, così puntuale e stralunata da essere davvero surrealismo di moda.

L’artista, Ignasi Monreal, fa ironia con queste illustrazioni create digitalmente ma trattati alla stregua di veri e propri dipinti.

‘Le donne i cavallier l’arme gli amori’, cantava Ludovico Ariosto, in un Orlando Furioso emblema dell’amore folle e dell’ambiente cortese al tramonto . Cavalieri, donne, armi e borse firmate sono il leit motiv di una campagna pubblicitaria che segna una netta contaminazione fra il mondo dell’arte visiva e le sue icone e le icone di un brand di stile di fama mondiale.

Finale ironico che strizza l’occhio a un tributo dell’arte nell ‘arte : Ignasi si tuffa nella tela ricreata e tende la mano alla ragazza, neo modella epigone della magnifica musa preraffaelita Elisabeth Siddal, per farla uscire dalla sua ‘tomba d acqua’.

L’arte lascia il passo alla pubblicità, e la morte cede il passo a oggetti di lusso particolarmente iconici.

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